Oggi vi faro vedere i due primi capitoli del libro:
1. FOGLIAME NEL VENTO
Ares
Un fatto
curioso su Amsterdam, uno di quelli che non trovi nelle guide turistiche -
troppo impegnate a elencare i migliori coffee shop e proporre dozzinali tour
tra le vie più rosse d'Europa - riguarda gli alberi. Sì, proprio gli alberi.
L'indice di verde visibile, infatti, è di circa il 20,6%; il che la colloca
settima nella classifica mondiale delle città con più alberi al mondo. Settima
su duecentosei paesi esistenti. Una cifra impressionante. Così come lo sono le
varietà presenti: olmi, platani, pioppi, salici... e via dicendo. Non so perché
avessi trovato quel dato tanto interessante da immagazzinarlo nel mio cervello,
né perché era tornato a vorticare nella mia mente come un moscerino fastidioso.
Forse era colpa della foglia stropicciata vicino alle mie scarpe. Una
bellissima foglia dal colore giallo mandarino che stavo fissando, come fosse un
misterioso oggetto alieno, da più di dieci minuti. Non ero mai stato bravo in
biologia e non ne capivo molto di flora, ma ero quasi certo si trattasse di un
acero. A ogni modo, non importava poi troppo che tipo di foglia fosse. Era a
terra, ormai, morta; piccoli ghirigori di ghiaccio abbracciavano la sua
superficie. Non aveva più nessun legame con le radici che l'avevano generata,
era sola. Mi sentivo così in quel momento: come una povera foglia caduta sul
ciottolato di una città qualsiasi, calpestata da frettolosi passanti
infreddoliti, spostata a piacere del gelido vento. Istintivamente la presi e la
misi nella tasca del giaccone. Non aveva alcun senso, ma speravo mi portasse
fortuna durante la cena. Era la vigilia di Natale e, come sempre, l'avrei
passata con mio fratello Josh: fosse stato presente il diavolo in persona! Il
mio albero l’avevo perso in una maledetta notte di molti anni prima; Josh era
la mia unica famiglia. Lui, Margaret e Harris. Harris, beh, era pur sempre
Harris! Non lo odiavo, non provavo per lui tutto il risentimento che sentiva
mio fratello, io gli ero riconoscente. Mi aveva accolto e cresciuto non
facendomi mancare niente, senza utilizzare un centesimo dei soldi dei miei
genitori. Non lo consideravo come un padre, però; era rimasto lo zio austero di
cui avevo memoria fin da piccolo. Margaret, invece, era mia madre a tutti gli
effetti. Non solo aveva combattuto per la mia custodia, ma si era sempre fatta
in quattro per me: cercando di farmi mangiare contro la mia volontà nei mesi
successivi alla morte dei miei, abbracciandomi nei lunghi pianti notturni,
afferrandomi per mano ogni maledetta volta che il mondo mi si era rivoltato
contro. Mi aveva cresciuto riversando in me tutto l'amore che provava per la
sua migliore amica. Non mi aveva mai fatto sentire abbandonato e nemmeno Josh.
Per questo non
ero come quella foglia. Ero senza albero? Sì. Ero infreddolito? Diamine! C’era
solo 1° ed ero fermo sotto la pioggia! Ero solo? No, non lo ero. Avevo Josh che
mi stava aspettando. Lui avrebbe fatto di tutto per me, già lo stava facendo, e
io dovevo decidermi a suonare quel campanello! La mia riluttanza nel farlo
dipendeva dalla presenza di Elis, la donna che mi ero portato a letto fino a
novembre. Avevo stupidamente dato per scontato che sarebbe tornata a Milano,
invece era lì. Di vederla non mi andava per niente... Nell'istante in cui avevo
posato gli occhi su di lei, avevo compreso che mi avrebbe condotto dritto
dentro a un filo aggrovigliato di guai, ma non ero riuscito a resistere alla
tentazione provarci. Era bella, c'era poco da dire a riguardo, e aveva un
cipiglio dispettoso che mi aveva attratto. A letto, poi, era a dir poco
fantasiosa. Il problema era che per me si limitava tutto a quello. Non potevo
offrirle di più e iniziavo a sospettare che lei desiderasse evolvere il nostro
rapporto in una relazione. Ma a parte il letto e qualche canna, noi non
potevamo condividere altro. Eravamo troppo diversi, anche se lei non sembrava
rendersene conto. - Avanti, suona - mi incitai, prendendo un respiro. Dovevo
togliermi il cappotto bagnato e sperare che il mio sistema immunitario non
avesse ripreso a far schifo. Ultimamente era migliorato, anche se non avevo ancora
ricevuto gli ultimi risultati. Forse il mio medico stava aspettando di far
passare il Natale, prima di comunicarmi una cattiva notizia... - Pensa
positivo! - mi rimproverai, immaginando il viso contrariato di Josh. Lui
continuava a ripetermi di non attrarre pensieri negativi, che tutto sarebbe
presto andato meglio. Scossi la testa, abbozzando un sorriso al solo pensiero
della sua caparbietà, e gli inviai un messaggio per avvertirlo che ero
arrivato. Temevo che, se avessi premuto quel luccicante bottoncino ottonato
situato accanto alla porta, ad aprirmi si sarebbe presentata Elis. «Si può
sapere perché non sei entrato? Hai le chiavi!» mi fece notare Josh, spalancando
la porta un paio di minuti dopo. «Le ho dimenticate» mentii, alzando le spalle.
Lo sguardo che riservò al mio cappotto mi fece capire che non se l'era bevuta.
«Non fare il coglione. Dovrai interagirci per le prossime ore.» «Ti assicuro
che non so a chi tu ti stia riferendo» finsi spudoratamente, andando ad
appenderlo a uno dei ganci riservati a Josh. I suoi erano quelli color
melograno. Ricordo ancora la litigata con Mindy, la migliore amica con cui
condivideva la casa, quando glieli aveva imposti. Naturalmente, lui avrebbe
preferito quelli verde chiaro, che per ironia del destino erano stati riservati
a Clotilde, la ragazza arrivata in una giornata di sole di fine agosto a
portare scompiglio nella sua vita.
Era una
vecchia amica di Mindy. Aveva affittato la soffitta per sei mesi e Josh l’aveva
odiata dal primo istante, o almeno era quello che continuava stupidamente a
sostenere. «La tua principessa?» gli chiesi per cambiare discorso. Il sorriso
gli illuminò lo sguardo, facendomi formicolare lo stomaco. Non lo avevo mai
visto tanto preso da una donna, il che doveva spaventarlo a morte, anche se non
lo avrebbe mai ammesso. «Al piano di sopra. Non è la mia principessa, comunque»
puntualizzò, cercando di mantenere un gioco che non reggeva più. Lo sapevo io,
lo sapeva lui, e 3⁄4 della città! «Certo.» Non rispose. Si girò e tornò al
piano di sopra, lasciandomi lì impalato. «Vieni ad aiutarmi in cucina o pensi
di rimanere giù tutta la sera?» strillò dal primo piano. Scossi le spalle e lo
raggiunsi: «Cosa c'è per cena?». Lui mi fece segno di seguirlo, senza
aggiungere altro. Non appena giungemmo in salone mi sentii pugnalare una
spalla. Una lama sottile, ma spietata, era stata conficcata in profondità nella
mia carne. Seguii l'invisibile linea di dolore e la vidi. L'acquamarina delle
sue pupille stava bruciando la camicia blu che Margaret mi aveva regalato per
il compleanno; il suo labbro inferiore era più rosso nel punto in cui i suoi
denti lo stringevano, e le sue spalle erano più curve del solito. Dannazione!
Elis era fasciata in un vestitino sexy da far schifo, tuttavia non era a suo
agio come al solito. Si sentiva confusa, fuori luogo, e la colpa era mia. «Ehi,
amico,» Jereon si avvicinò e mi distrasse battendomi un sonoro cinque, «era ora
che arrivassi. Sto morendo di fame!» «Non mi ero accorto dell'ora» borbottai.
«Mr. Puntualità in ritardo è un evento da calendario!» ridacchiò. «Non
dipenderà dalla moretta vicino al divano?» Jereon, l’altro coinquilino di mio
fratello, era un pugile professionista, un amico fidato, ma un grandissimo
cazzone; pertanto mi sorprese la sua affermazione sagace: da quando era
diventato un buon osservatore? «Perché dovrebbe?» aggrottai le sopracciglia,
per poi guardarmi intorno. L'albero di Natale era stato posizionato in modo
tale da illuminare la vetrata vicina e colorare il soffitto a ritmo delle
lampadine. A differenza degli altri anni, le decorazioni non seguivano il
rigido schema mentale tramandato a Josh. Palline di dimensioni diverse erano
vicine le une alle altre, creando un caotico disegno stranamente equilibrato.
«Non lo hai fatto tu, eh?» presi in giro mio fratello, muovendo la testa alla
sua ricerca. Prima di riuscire a scorgere il suo ghigno divertito, due diamanti
citrino catturarono la mia attenzione. Quegli occhi, di quell’inusuale colore
oro, mi attirarono a loro; come il malinconico canto di una sensuale sirena attrae un marinaio
sperduto in un mare in tempesta. Erano splendidi, lucenti, incuriositi... e mi
stavano esaminando. Sapevo che uno dei due avrebbe dovuto abbassare lo sguardo
per educazione, ma nessuno sembrava intenzionato a farlo: lei guardava me e io
guardavo lei. Eravamo bloccati in uno spazio indefinito di un tempo già
passato. Incatenati da una forza che non ammetteva parole. Chi diavolo era
quella delizia? «Amico, scordatelo lei è...» scattai con la testa verso Jereon
e la sua voce strozzata, rompendo lo strano stato di torpore che mi aveva
avvolto. Capii, perché non aveva finito la frase: Maike, la ragazza che
continuava a illudere di amare, era alle sue spalle. «Emilia, un'amica di
Clotilde» disse infine. Le sue pupille, però, erano nascoste da due fessure
minacciose e le sue spalle si erano irrigidite. Quello che voleva realmente
dire, era: lei è mia. Ovvero off-limits. Dovevo starle alla larga se non volevo
un pugno in faccia. «Tranquillo, voglio solo presentarmi per buona educazione»
posai una mano sulla sua spalla per rassicurarlo. «Dovresti» abbozzò un
sorriso, più calmo. «Vado ad aiutare Josh in cucina» mormorai, ma non lo feci.
Raggiunsi quella sirena, incrociai le braccia al petto e mi fermai davanti a
lei, rimanendo immobile a studiarla. Contrariamente a quel che mi aspettavo,
lei non pronunciò nemmeno una parola, né abbassò lo sguardo. Continuò a
fissarmi con disarmante fierezza, provocandomi senza muoversi di un millimetro.
Non mi ero avvicinato per parlarle, ma mi ero comunque avvicinato io. La palla
era a me. «Non credo di averti mai incontrata prima» cedetti senza resistere
oltre. Il suo viso, di un’antica dolcezza dimenticata, era incorniciato da una
nuvola di ricci selvaggi. La sua pelle ambrata era ombrata di rosa sulle gote, le
sue labbra ricordavano un papavero appena schiuso. Aveva una bellezza tutta sua
quella donna: classica, per niente scontata, straordinariamente raffinata.
«Emilia, piacere. Sono un'amica di Clotilde» rispose con voce ferma e sicura.
«Lo avevo capito, Ricciolina» afferrai una ciocca dei suoi capelli ribelli e
l’attorcigliai intorno al mio dito. Il suo sguardo si riempì di stupore,
facendomi venire un'insana voglia di baciarla. Ma era un'amica di Clotilde e io
avevo già problemi con un'altra delle sue amiche. Istintivamente, alzai lo
sguardo oltre la spalla di Emilia e il mio corpo si sentì invadere da un
ghiacciato senso di colpa. Gli occhi chiari di Elis erano colmi d'odio, tutto
rivolto al mio povero dito. Sentii uno strano dolore baciarmi la pelle. Lasciai
stare i capelli di Emilia all'istante, riportando la mia mano lungo il fianco.
«Scusami» mormorai, prima di allontanarmi dal salone per rintanarmi in cucina
da Josh. Entrai
con la testa bassa e i pugni chiusi, camminando nervosamente intorno a lui. «Lo
sapevo che non dovevo venire, cazzo! Il solo vederla mi fa attorcigliare lo
stomaco. I suoi occhi mi fanno sentire un emerito stronzo!» iniziai a
strofinarmi i palmi sulla testa, accarezzando la mia rasatura. «Smettila di
fare il rammollito! È una cena, riuscirai a sopravvivere» mi prese in giro
Josh, porgendomi un pezzo di pane pieno di una salsa rossastra. «Parli tu? Stai
sfuggendo da Clotilde come un orso rincorso dalle api. Sei in preda al panico
da settimane.» «Veramente non sto scappando da nessuna parte. Sono qui, mi
sembra» affermò, facendomi alzare gli occhi al cielo. No, non era scappato mica
a casa mia! Assolutamente! Era un altro fratello quello che aveva dormito sul
mio divano, uno segreto di cui non sapevo l'esistenza! «Ci sono io. Supereremo insieme
la serata» tornò serio, dandomi una spallata. Aveva ragione. Di nuovo. Diedi un
morso veloce al pane, ingoiando il mio attacco di panico, e afferrai il vino,
pronto a tornare in salone. Tanto valeva iniziare subito quella tortura, così
sarebbe giunta presto alla fine. In fondo, era solo una cena. Potevo farcela.
2. OCCHI COLOR SERENITY
Emilia
Non ho mai
capito per quale motivo tutto ciò che aspetti accade quando meno te lo aspetti;
e ancor meno, perché deve essere così diverso da quello che si credeva sarebbe
stato. Avevo deciso di fermarmi ad Amsterdam per la vigilia di Natale per
aiutare Clotilde a riprendersi il Dongiovanni, e mi ero ritrovata a organizzare
un piano di conquista anche per una sua amica, Elis. Di certo, non avrei mai
potuto immaginare che quelle scelte mi avrebbero portato faccia a faccia con
lui. Avevo capito con un solo sguardo, chi era. L’uomo che indossava disinvolto
una camicia Burberry blu navy dell'inverno 2017/2018, dal cui colletto
sbottonato potevo intravedere la caratteristica tartan, non era semplicemente
il fratello di Josh, né lo stronzo che giocava con i sentimenti di Elis. Era la
persona che avevo cercato per tutta la vita. I suoi occhi color serenity, della
tonalità esatta che Pantone nel 2016 aveva definito colore dell'anno - e di cui
io avevo la maggior parte dell'intimo anche se ormai fuori moda- mi avevano
parlato prima ancora di scambiarci una sola parola, prima ancora di
presentarci. Quello era un problema enorme. Lo era per almeno quattro motivi:
primo, era il ragazzo di Elis; secondo, era il fratello di Josh; terzo, io
andavo a letto con J, che era sicuramente un suo amico; quarto, l'ultima
persona che aveva avuto un effetto vagamente simile su di me, si era rivelato
un bugiardo senza scrupoli. Quindi, non potevo nemmeno lontanamente permettermi
di pensare ciò che stavo pensando. Il mio stupido cuore romantico doveva
smettere di battere così forte e lui doveva abbassare il suo sguardo. Non
doveva guardarmi in quel modo. Non doveva guardarmi e basta! Per fortuna venne
distratto da J e io potei tornare a respirare. - Smetti di fare la cretina -
provai a convincermi, e per una ventina di secondi ci riuscii. Finché lui non
si avvicinò a me, rimanendo fermo a fissarmi senza parlare. Ma che problemi
aveva? Se pensava che avrei rotto io quel silenzio si sbagliava di grosso! Lo
sfidai, alzando leggermente il mento, trattenendo a stento una smorfia
arrogante. Mi sembrava di essere tornata d'improvviso alle elementari, quando
io e mia sorella vincevamo l'ultimo biscotto della scatola a colpi di "chi
ride per prima perde". Solamente che in ballo non c'era un biscotto, ma il
mio orgoglio, e non si perdeva ridendo per primi, ma presentandosi. Non avevo
mai perso un biscotto, di certo non avrei ceduto in quel momento! «Non credo di
averti mai incontrata prima» mormorò lui improvvisamente, porgendomi la corona
della vittoria. Tuttavia, la sensazione di vittoria durò poco, perché compresi
che oltre agli occhi aveva una voce.
-È il ragazzo
di Elis. Trattalo come tale! - mi ricordai e il nervosismo scomparve
all'istante. Mi presentai senza allungare la mano verso di lui, aspettando
invano di sentire il suo nome, di cui già ero a conoscenza. Ciò che fece, mi
sorprese: non mi porse un saluto di circostanza, ma mormorò qualcosa di simile
a: «Lo avevo capito, Ricciolina» e poi sorrise, lo stronzetto, sfiorandomi i
capelli. Perché mai lo stava facendo? Voleva far ingelosire Elis? Non aveva
senso! Quella ragazza moriva per lui, non aveva bisogno di stupidi giochetti.
Sbattei le ciglia, confusa, mentre lo sguardo di Ares assunse pericolose
tonalità. Per un istante, un momento della durata di un sospiro, un'illusione
si spacciò a noi per una realtà concreta. Un'antica favola dimenticata fu
sussurrata dal vento alle orecchie di un'anziana saggia, che la rivelò a un
merlo, che la cantò volando sui tetti della città innevata, svelandola a noi.
Fin quando Ares non alzò lo sguardo sopra la mia spalla, spazzando via ogni mio
dubbio. «Scusami» sussurrò, prima di lasciare la mia ciocca e allontanarsi. Non
avevo bisogno di girarmi per capire chi avesse determinato ogni sua singola
azione, ma lo feci lo stesso, ritrovandomi davanti a una cieca rabbia contenuta
nel minuto corpo di Elis. Istintivamente mi avvicinai a lei. Mi sentivo in
dovere di darle una spiegazione per ciò che aveva visto. «Cerca di farti
ingelosire.» «Non lo capisco,» sbuffò, «che cavolo di senso ha?» «È un uomo,
non sempre quello che fa ha senso.» «Sarà...» storse il naso, poco convinta.
«Manteniamo il piano. Tu occupati della gatta morta, io mi occupo di lui. Alla
fine della serata tornerà strisciando da te!» le feci l'occhiolino,
trascinandola con me verso il tavolo. Lui era il ragazzo di Elis. Io una sua
amica. Il color serenity non era più di moda, quindi che andasse a farsi benedire!
Ero Emilia Daelli. Fondatrice di Talk with E, laureata con lode in storia della
moda e del costume, influencer con 8 milioni di followers su Instagram, futura
stilista. Un paio di occhi non avrebbero destabilizzato una come me, così come
non sarebbe riuscita a farlo Maike, l'aspirante angelo di Victoria che si
credeva la fidanzata di J. - Avanti, diamo inizio al piano - mi incoraggiai,
studiando la situazione. Al tavolo c'erano solamente quattro posti liberi,
sicuramente il Dongiovanni si sarebbe accomodato vicino a Clotilde, perciò
dovevo far in modo di lasciare libera la sedia accanto a Elis. Così facendo,
Ares sarebbe stato costretto a mettersi lì. Sì, ero un genio! La mia parte la
stavo ricoprendo egregiamente! Non mi rimaneva altro da fare se non dimenticarmi
della strana sensazione che avevo provato, cercare di rimanergli indifferente e
indossare l'armatura di professionalità che solitamente riservavo a trattative
commerciali e contratti estremamente vantaggiosi.
Ero un ninja,
un agente sotto copertura di una super organizzazione segreta, non mi avrebbero
fatto crollare né la bionda tutta tette e moine, né El Conquistador dal
cavaliere equestre ricamato sul petto! «Tu sei Maike, giusto? La ragazza del
nostro Jereon» domandò improvvisamente Elis, facendo innervosire J. Non che
prima fosse particolarmente a suo agio. Da quando era arrivata Maike, era
diventato una specie di zombie. «Esatto» rispose lei con una voce
fastidiosamente stridula. Almeno un difetto tangibile lo aveva quella donna!
«Perché non ci racconti qualcosa di te? Un aneddoto, qualcosa che ti rende
unica...» insistette Elis. Eh sì, anche lei stava svolgendo la sua parte alla grande. «Uhm...
qualcosa su di me...» sembrò pensarci su qualche istante. «Odio l'arancione. Mi
infastidisce anche solo vedere il cibo di quel colore». Ma che assurdità era
mai? «Quindi non mangi nessun cibo di colore arancione?» me ne uscii senza
trattenermi, con un tono scettico. «Esatto. L'arancione è un colore fastidioso.
Non mangio le carote, né le zucche. Detesto le albicocche, le pesche e...»
«Nessuno detesta le albicocche!» la interruppe Elis. «Io le detesto». «Siete
pronte per l'antipasto?» la voce di Mr. Burberry mise fine al battibecco,
offrendoci del vino per calmare la situazione. Ottima mossa, il vino è sempre
una buona idea. Altro che Parigi! «Il nostro chef ci ha preparato delle vere
delizie» e guardando le due sedie rimaste vuote, andò a sedersi su quella
vicino a Clotilde. - Ma stiamo scherzando? Quella è riservata al Dongiovanni!
Sveglia! - «Veramente non ho fatto tutto da solo. Anche Emilia ha partecipato
alla preparazione,» spiegò Josh, scoccandogli uno sguardo assassino, prima di
rivolgersi a me, «lui è Ares, comunque». Sentii uno strano calore scaldarmi la
guancia. Contai fino a cinque, prima di girarmi verso di lui con un
atteggiamento saccente, pronta a servirgli pan per focaccia. «L'avevo capito,»
ripetei le parole che poco prima aveva usato con me, «mi hanno parlato molto di
te» aggiunsi allungando un braccio nella sua direzione, usando appositamente un
tono scocciato, come a intendere che ciò che avevo sentito su di lui non era
nulla di buono. «Sì, posso immaginarlo» rispose lui, stringendo con un solo
gesto il mio cuore e la mia mano. Se un fulmine potesse essere generato da un
tocco tra due persone, noi avremmo appena dato vita a uno spettacolare
temporale estivo. Uno di quelli che si sviluppano in un secondo, quando il
terreno è talmente surriscaldato da far espandere una piccola bolla di calore
in una gigantesca nube piena di pioggia, pronta a esplodere in una rinfrescante
boccata d'aria.
Ritrassi la
mano e cercai di nascondere a tutti, compresa me stessa, cosa avevo percepito.
Alzai gli occhi su Josh, che mi sedeva davanti, si era accorto di qualcosa?
Clotilde mi aveva detto di stare attenta al mio linguaggio corporeo davanti a
lui. Sembrava, infatti, fosse dotato di una specie di super potere che gli
consentiva di capire qualsiasi cosa attraverso i gesti di una persona; potere
che non gli era stato donato da un misterioso ragno radioattivo, ma trasmesso
con sapienza da un padre odioso. Per paura di essere scoperta, mi concentrai
talmente tanto sui movimenti del mio corpo da non prestare ascolto a nulla di
quello che dissero nei seguenti minuti, nemmeno al discorso di Mindy. Tornai in
me, solamente quando Clotilde mi sussurrò all'orecchio qualcosa che aveva il
sapore di una pessima idea. «Ti prego!» mi supplicò e io decisi di rivolgerle
la mia attenzione. «Cosa? Scusa, ero distratta» abbozzai un sorriso. «Facciamo
cambio posto?» propose con uno sguardo malizioso. «Cambio posto?» alzai un
sopracciglio. «Così starò di fronte a Josh!» - E io vicino ad Ares! No, no,
assolutamente no! - «Certo» sospirai, non sapendo come tirarmi indietro. Lei mi
abbracciò forte, felice come una bambina. No, meglio ancora, felice come quando
era una bambina. Non la vedevo così da una vita! Oh, al diavolo! Mi alzai, per
poi sedermi vicino al mio obiettivo. Era e sarebbe stato quello per me: il
semplice obiettivo della missione "farlo riavvicinare a Elis". «Spero
che non ti dispiaccia, Dongiovanni, ho chiesto a Clotilde di poter stare vicino
ad Ares, sai per conoscerlo meglio» mentii, quando Josh tornò al tavolo. -
Ecco, così: sicura e distaccata. Posso farcela! - «Vuoi conoscermi meglio,
Ricciolina? Non hai che da chiedere» mi solleticò all'orecchio Ares. Quella
volta, però, ero preparata al suo attacco. «Ho un nome ed è anche piuttosto
facile da ricordare» sparai con aria infastidita. «Cosa vuoi sapere di me,
Emilia?» rispose divertito, accarezzando il mio nome con quel suo strano
accento. «La tua cadenza è diversa da quella di Josh,» mormorai appena, «eppure
venite dalla stessa città». «Spero non consideri il rosa chiaro come
l'arancione» disse improvvisamente Elis, richiamando la mia attenzione su
Maike. Aveva un braccio intorno al collo di J, le sue labbra terribilmente
vicine a quelle di lui. Un senso di profondo fastidio si diffuse dalle mie
spalle, verso tutte le estremità del mio corpo, e per un momento non riuscii a
stabilire se fosse per via di Maike e la sua vicinanza a J, o per Elis e l'aver
interrotto il mio battibecco con Ares.
Ma che stavo
mai pensando?! Sicuramente per via di Maike! Era da quando J mi aveva detto che
sarebbe stata presente la sua ragazza che ero contrariata. Avevamo passato
tutta la mattinata a letto insieme, mi aveva raccontato dei suoi calzini
fortunati, quelli che indossava ad ogni match... e poi aveva sparato la bomba!
Si era scusato, ma ormai era tardi per ritirare l'invito. E io avevo deciso che
era tardi per restare ancora a letto. Ero consapevole che quella a essere in
torto ero io. Certo, J non mi aveva detto prima di essere fidanzato, altrimenti
non mi ci sarei nemmeno avvicinata; ma ormai ero coinvolta e odiavo essere
offuscata da un’altra. Terribilmente sbagliato, lo sapevo. Ringraziando il
cielo Josh mise fine alle costanti frecciatine di Elis su Maike. Con una frase
spostò l'attenzione su Ares: «Ha paura dei pappagalli». Tutti rimanemmo
incastrati ad ascoltare un’assurda storia che riguardava la loro infanzia, la
visita finita male a uno zoo per colpa di un pappagallo e una scimmia di nome
Rico. Alla fine, Elis riuscì persino a strappare un appuntamento ad Ares,
ponendo fine al mio compito. Dopo cena mi sarei allontanata da lui e tutto
sarebbe tornato alla normalità. Jereon. Ecco su chi dovevo concentrarmi. J e i
suoi calzini fortunati. J e il suo sogno olimpico. J e i segreti che mi aveva
sussurrato a fior di labbra. Segreti che supponevo Maike non conoscesse. Sì,
era giusto così. Era più facile così. Mi stavo ancora riprendendo, non avevo
bisogno di un altro temporale nella mia vita, per quanto spettacolare
promettesse di essere. Avevo bisogno di caldo, cielo limpido e confortante
sole. Avevo bisogno di un gioco semplice, un uomo semplice con cui riparare la
crepa formatasi sulla mia autostima. E Jereon, nonostante fosse fidanzato,
sembrava la persona adatta. Lasciai il salone, la sedia che mi teneva troppo
vicino a una pericolosa attrazione da evitare, e andai ad aiutare Josh in
cucina. Dovevo trovare il modo di far fuori la Kardashian del nord Europa e
appropriarmi una volta per tutte di Jereon. Lui aveva la grande capacità di
farmi sentire bene, come quando si è stesi con gli occhi chiusi su un lettino
in riva al mare, con indosso solo i raggi tiepidi di fine giugno. Con lui non avrei
corso il rischio di farmi male di nuovo.